martedì 5 febbraio 2008

Meno Edilizia, Più Architettura

L’architettura dei nostri giorni è morta. O quantomeno è in coma profondo. Se guardiamo un palazzo ottocentesco potremmo vedere ampie finestrature, soffitti decorati, timpani alle finestre, stemmi, cornici, lesene, insomma una qualunque decorazione che contribuisce ad esaltare la signorilità dell’abitazione. Oggi invece le amministrazioni locali di ogni ordine, grado e schieramento politico hanno abbandonato il concetto di bellezza o di armonia o di peculiarità di un edificio, in favore di un funzionalismo estremo e piatto estremamente utile per costruire a basso costo, in fretta e su larga scala. Tale perdita di fantasia edilizia è in gran parte dovuta a quegli strumenti regolatori che invece di pianificare su grande scala un territorio, finiscono col dettare ogni minima regola di costruzione trasformandosi, da punti di orientamento entro i quali potersi gestire, a un toboga obbligato entro il quale ben poche manovre sono permesse. Piuttosto che indicare altezza totale, altezza interpiano, forma, allineamento e materiali di facciata di un edificio (norme giuste per un centro storico, ma non per una periferia anonima e priva di pregio), ci dovremmo interessare solo della quantità di alloggi e dei metri cubi di cemento massimi che si vogliono costruire, in modo da dare al progettista la possibilità di muoversi liberamente in un lotto e connotare il suo progetto.
Da una parte la ripetitività costruttiva porta ad un minor costo di costruzione dell’edificio, dall’altro porta anche alla sua completa spersonalizzazione e l’edificio perde la sua soggettività diventando un mero indirizzo con numero civico annesso, un codice alfanumerico.

La caratterizzazione di un edificato è invece molto importante per la sua individuazione e per la sua capacità di creare una sorta di ente territoriale autonomo capace di aggregare intorno a se stesso i residenti che lo abitano. A Livorno abbiamo numerosi esempî, belli e brutti: Palazzo Modigliani (COIN), Palazzo Rosciano, Residenza Astoria, Palazzo del Refugio, Blocco delle Signorine, Grattacielo di Piazza Matteotti, il Biscione di Coteto, i Palazzi Grigi e Verdi della Leccia, etc... Per quanto questi esempî siano di ogni genere, architettonicamente ricchi o poveri, essi si identificano in un unica residenza e perdono la freddezza dell’indirizzo. Basta poco, pochissimo, anche un colore, per dare un identità ad un edificio e per fare in modo che tutti i residenti si sentano parte dello stesso, creando una sorta di microcomunità che contribuisce a intessere i rapporti sociali, ormai in decadenza.

Un ultima idea? Perché i progettisti non nominano le loro costruzioni con un nome attinente attinente ad una peculiarità dell’edificio per esempio? O anche con un nome di fantasia! Contribuirebbe a creare quella soggettività che ci rende un insieme di persone e non semplice “gente”.

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